I, I will be king
And you, you will
be queen
Though nothing
will drive them away
L’uomo si sistemò
gli auricolari e guardò la città deserta, davanti a sé.
“Non è
tranquilla come sembra” pensò, mentre il cielo plumbeo iniziava a scurirsi.
La pioggia sferzava l’aria con gocce di ghiaccio.
«Muoviti, tra
poco sarà sera, non vorrai stare qua fuori?» La voce di Chiara lo riscosse.
Le tirò un
pugno scherzoso sulla spalla. «Chi ha avuto l’idea di attraversare questo
schifo?» rispose, sorridendo.
Chiara si scostò
una ciocca bionda dagli occhi. «Non dare la colpa a me ora» disse, scoppiando a
ridere. «Coraggio!»
E iniziò a
correre lungo la strada.
'Cause we're
lovers, and that is a fact
Yes we're lovers,
and that is that
L’uomo si strinse
nel parka. Si era alzato il vento e la pioggia scendeva in obliquo, colpendolo
al volto come aghi di ghiaccio. Si sistemò lo zaino sulla spalla e avanzò, in
cerca di un rifugio per la notte.
Oltrepassò un
negozio di elettronica con le vetrine sfondate e del tutto vuoto e si fermò
sulla soglia della drogheria accanto.
We can beat them,
just for one day
We can be Heroes,
just for one day
«Ci sarà ancora
qualcosa?» gli chiese Chiara.
«Tentar non
nuoce» le rispose, entrando. «Tu guarda
negli altri negozi, io faccio un giro veloce.»
Il campanello
tintinnò, annunciando il suo arrivo. L’uomo estrasse la pistola da sotto il
cappotto e proseguì verso gli scaffali con cautela: tutti vuoti. Gli sciacalli
avevano già preso ogni cosa.
Andò nel
retrobottega, anche questo razziato.
“Almeno non ho
trovato nessun predatore.”
Uscì e Chiara gli
corse incontro.
And you, you can
be mean
And I, I'll drink
all the time
«Ho trovato un
supermercato! È proprio nella strada qua dietro» disse indicando un punto alle
sue spalle. «Potrebbe essere un ottimo riparo per la notte.»
L'entusiasmo di
Chiara riusciva sempre a contagiarlo. «Bene, andiamo» le rispose con un
sorriso.
Though nothing,
will keep us together
We could steal
time,
just for one day
Il supermercato
sorgeva in un piazzale circondato da un enorme parcheggio disseminato di
scheletri d’auto arrugginiti. L’uomo vide che il portone principale era
ostruito da mobili, carrelli accatastati uno sopra l’altro, e una jeep senza
copertoni.
“Forse
qualcuno ha già trovato rifugio all'interno” pensò.
Proseguì lungo il
lato destro dell’edificio e trovò l’ingresso di servizio: due porte metalliche,
con le maniglie chiuse da una catena. Davanti al portone, c’era un’enorme
pozzanghera che si estendeva per tutta la grandezza delle porte; al centro,
davanti all’ingresso, un unico lampione ormai spento.
“Potrei usare
la tenaglia, ma sembra un posto sicuro dove fermarsi un paio di giorni.”
«Chiara,
cerchiamo un’altra entrata. Non voglio distruggere quella che potrebbe essere
una linea di difesa.»
«No» lo fermò
Chiara «Guarda il cielo!»
Non si era
accorto che l’oscurità stava calando più in fretta di quanto aveva previsto.
“Dannazione, oggi non è proprio giornata.”
«Non rimane altra
scelta. Romperò il lucchetto» affermò.
I, I will be king
And you, you will
be queen
Though nothing
will drive them away
We can be Heroes,
just for one day
We can be us,
just for one day
Il lampione
solitario al centro della pozzanghera sembrava essere un guardiano silenzioso.
«Stai indietro,
Chiara, credo che questo supermercato non sia disabitato.»
«Predatori?»
«Non credo,
umani. Speriamo siano amichevoli o…» lasciò cadere la frase nel vuoto.
We can beat them,
for ever and ever
Oh we can be
Heroes,
just for one day
Fece un passo nella
pozzanghera, l’acqua gli arrivava al polpaccio.
“Parecchio
profonda.”
Avanzò di un
ulteriore passo ed ebbe un mancamento, venne strattonato per il piede destro,
gli sembrò che la gamba venisse staccata dal corpo. Chiuse gli occhi, la terra
sotto ai piedi svanì, e quando li riaprì si ritrovò a guardare il mondo a testa
in giù. Era appeso al lampione.
“Merda… sono un
coglione.”
«Chiara!
Aiutami!» si guardò intorno, ma non la trovò.
«Chiara!» gridò,
ma solo la pioggia rispose al suo richiamo.
“Dove si è
cacciata? Prima o poi si metterà nei guai!”
Prese la pistola
dalla fondina, ma aveva le dita bagnate e gli scivolò, cadendo con un tonfo
nella pozzanghera.
“Che giornata
del cazzo!”
Un urlo acuto lo
fece rabbrividire, il suono rimbalzò fra tutti i palazzi della città, come
un’eco.
“Quanti cazzo
sono?”
Con le mani che
tremavano, estrasse il coltello dal fodero alla cintura. Cercò di tirarsi su
per tagliare la corda, ma lo zaino si oppose.
“Lo devo
lasciar andare”.
Si tolse prima
una bretella e poi l’altra, lo zaino si schiantò nella pozzanghera.
Un altro ruggito
lacerò lo scrosciare della pioggia. L’uomo rimase penzolante per la gamba.
Osservò il cielo, si stava scurendo.
“Non ho più
molto tempo… forza, cazzo!”
Contrasse gli
addominali e si sforzò mentre cercava di raggiungere la corda, si stirò,
allungando il braccio destro fino al suo limite, ma non era ancora abbastanza.
“Merda!”
Tentò finché il
bruciore ai muscoli non divenne insopportabile, poi si lasciò andare, la
schiena e il collo scrocchiarono. Il fiato gli si spezzò. Restò appeso, fece
respiri lenti e profondi, cercando di calmarsi.
“D’accordo,
devo fare le cose piano, ce la posso fare” pensò, respirando profondamente.
Piegò il
ginocchio della gamba appesa, poi contrasse gli addominali e si raggomitolò su
se stesso, afferrandosi il ginocchio con la mano sinistra. Stese il braccio
destro e con il coltello arrivò alla corda che lo teneva prigioniero. Mosse la
lama avanti e indietro, lo sforzo per mantenersi in posizione era immane, ma
non aveva altra scelta.
“Forza, cazzo!”
Il ruggito dei
predatori tornò a interrompere il rumore ritmico della pioggia.
Aumentò la
velocità, la schiena e le braccia in fiamme.
“Ormai mancava
poco.” I fili intrecciati della corda erano sul punto di cedere.
“Così… dài…
andiamo, bella…” La corda si spezzò. La caduta durò un istante. L'uomo si
schiantò sul fianco destro, nell’acqua ghiacciata che gli entrò in bocca e
nelle narici. Il colpo fu attutito dallo zaino, ma rimase comunque stordito a
terra. Tossì, liberando le vie respiratorie. Rimase fermo, pietrificato dal
freddo e dal dolore, poi si concesse di tirare un lungo respiro di sollievo.
“Salvo…”
Quando si sentì
sicuro di essersi ripreso, tentò di alzarsi, ma la gamba lo bloccò. Inondandolo
con una scarica di dolore.
«Che cazzo?»
Risprofondò nella
pozzanghera, si resse sui gomiti, i denti che battevano.
“Chiara… dove
sei finita?”
Guardò il cielo,
stava calando la notte e la temperatura era scesa.
«Chiara!» chiamò,
ma non ebbe risposta. “Devo muovermi.”
Fece leva sul
braccio e alzò il fianco, cercando di liberare la gamba da ciò che la bloccava.
Il dolore tornò, più forte di prima, ora lo sentiva, era come se vi fosse
conficcato un pugnale.
Grugnì stringendo
i denti e si tirò ancora più su, finché non sentì qualcosa uscire dalla sua
gamba, con un colpo di reni uscì dalla pozzanghera e si sdraiò pancia all’aria
sull’asfalto bagnato a un passo dall’ingresso.
“Una trappola
del cazzo. Porca troia, meno male che c’era lo zaino” guardò nel punto in
cui era caduto: una punta di ferro arrugginito era appena visibile sopra il
pelo dell’acqua.
Si trascinò fin
contro la porta chiusa, si tolse la kefiah e la usò per tamponare il sangue che
sgorgava dalla ferita, poi la avvolse intorno alla gamba e strinse. Fece un
doppio nodo, la stoffa era già insanguinata.
Con le dita
tremanti aprì il taschino superiore della giacca e prese la scatola degli
antibiotici, estrasse una pillola, e se la mise sulla lingua. Deglutì.
“Devo
muovermi, cazzo, o sentiranno l’odore.”
Si aggrappò alla
maniglia in ferro e si alzò. Zoppicò dentro la pozzanghera e, piegandosi solo
sulla gamba buona, recuperò lo zaino dall’acqua, lanciandolo contro la porta.
Poi si
accovacciò, facendo un enorme sforzo per ignorare il dolore alla gamba. Scavò
nella melma, alla cieca, finché non sentì qualcosa di metallico. “Eccola!” provò
a prendere la pistola ma la perse. Imprecò e continuò con la sua ricerca.
Riuscì con l’indice a toccare la pistola e a tirarla verso di sé. La impugnò e
la estrasse dalla fanghiglia.
“Merda! Così
com’è non posso usarla” pensò osservando la canna ostruita. La mise nella
fondina e si alzò.
Un urlo disumano,
seguito da un ruggito. Poi altre urla si aggiunsero al coro, in una cacofonia
che coprì il rumore della pioggia. L’uomo alzò gli occhi al cielo: la flebile
luce del giorno era diventata ancora più tenue, non c’era più tempo.
“Che giornata
di merda.”
Estrasse il
fucile dallo zaino, lo puntò contro il lucchetto e sparò. Questo cadde con un
tonfo sordo e il catenaccio si allentò, l’uomo liberò le maniglie più in fretta
che poté.
“Andiamo.”
Si mise il fucile
a tracolla e raccolse lo zaino.
Un altro ruggito.
Questa volta molto più forte di prima, molto più vicino.
“Cazzo…
Chiara… dove sei?”
Diede una rapida
occhiata alle proprie spalle.
«Chiara!» gridò,
provò a cercarla con lo sguardo, ma l’oscurità glielo impediva. Si soffiò una
narice otturata ed entrò nel supermercato. Richiuse la porta alle proprie
spalle, staccò un’asse da un pallet lì vicino e la usò per bloccare le
maniglie. Poi si lasciò andare a terra, la schiena contro la porta, la gamba
che continuava a tormentarlo. Restò in silenzio, stremato.
“Chiara… dove
cazzo sei finita?”
Sentiva il cuore
che gli esplodeva nel petto, la sua mente vagò. Gli apparve l’immagine di
Chiara, squartata in un vicolo, le viscere sparse sull’asfalto bagnato, il
corpo ridotto a uno scheletro con brandelli di carne e vestiti ancora
attaccati.
Scosse la testa,
cercando di scacciare quei pensieri.
“Ho bisogno di
un po’ di musica. Devo ritrovare la calma, non devo farmi prendere dal panico.
Si sarà sicuramente nascosta in qualche posto sicuro.”
Prese gli
auricolari e se li portò alle orecchie.
«Coglione, cazzo
hai fatto?» gridò una voce nell’oscurità. Uno sparo da qualche parte nel
supermercato.
“Merda… questa
è proprio una giornata del cazzo!” Strinse i denti e si rialzò, la gamba
gli mandò una nuova scarica di dolore, rimase un secondo fermo, paralizzato.
Ci fu un altro
sparo, il suo cacciatore si stava avvicinando. L’uomo iniziò a muoversi,
zoppicando e reggendosi agli scaffali vuoti.
“Devo
nascondermi, porca puttana, ci mancava solo questa testa di cazzo!”
Proseguì alla
cieca, inciampò su una bottiglia vuota e rovinò a terra, mordendosi la lingua.
Il sapore del sangue gli invase la bocca. Uno sparo. Il proiettile gli sibilò
sopra la testa.
«So dove sei,
coglione!»
Strisciò sotto lo
scaffale e si ritrovò nel corridoio parallelo.
«Non puoi
scappare, sei fottuto, coglione!» Il cacciatore sparò ancora, l’uomo si sentiva
una bestia in trappola.
Corse al massimo
che la gamba gli consentiva, nel buio, zoppicando e sperando che il rumore dei
suoi passi venisse coperto dalla pioggia che sbatteva contro il tetto. Qualcosa
lo colpì al basso ventre, venne sbilanciato in avanti e sbatté la faccia contro
una superficie tiepida e liscia.
La toccò con la
mano. “Plexiglass. Reparto frigo. Porca puttana… forse ce la faccio.”
Tastò con le mani
cercando la maniglia, seguì i bordi del frigo e la trovò, la aprì e si infilò
dentro, chiudendosi la porta sopra. Rallentò i respiri, la gamba tornò a fargli
male. L'ambiente non era molto largo, ci stava a malapena, ma era lungo e
l’uomo poté distendersi senza problemi, questo fu un sollievo. Lo zaino sulla
schiena gli faceva da materassino, chiuse gli occhi.
“Chiara… dove
sei…” pensò, crollò nel sonno senza neanche rendersene conto.
Fu svegliato di
soprassalto da un’esplosione.
“Se
quell’idiota non la finisce ci sentiranno.” L’uomo si strinse nel parka, il
cuore che batteva come un tamburo a causa dello spavento, le tempie che
pulsavano. Non sentiva più la gamba, provò a muoverla e avvertì un formicolio,
estrasse la scatola e prese un’altra pastiglia di antibiotico.
«Coglione! Guarda
che cazzo hai fatto!» la voce dell’altro uomo gli arrivò ovattata dal vetro che
lo separava dal mondo.
“Basta, cazzo,
voglio riposarmi… sono stanco… e devo ancora trovare Chiara…”
Ci fu un boato,
non era il rumore di uno sparo. Rimase in assoluto silenzio e tese le orecchie.
Un altro boato e un sibilo, un sibilo lungo e prolungato, poi rumore di passi
pesanti, così pesanti da sovrastare il frastuono della pioggia contro il tetto.
Sentì le pareti del frigo vibrare.
“È entrato un
fottuto predatore! Merda! Sono nella merda!”
Si contorse nell’angusto
spazio e riuscì a liberarsi dell'arma a tracolla, la appoggiò accanto a sé. Si
tolse lo zaino e aprì la tasca laterale, prese il visore notturno, lo indossò.
Il buio si tinse di luce verde. Poi prese il fucile e aprì il caricatore.
“Sei colpi… più
uno in canna” sospirò. “Devo essere veloce e preciso.”
Voleva uscire dal
frigo ma la gamba gli faceva ancora troppo male.
“Avessi ancora
la morfina. Ho bisogno di concentrarmi, devo ignorare il dolore se voglio
uscirne vivo. E devo ritrovare Chiara.”
Prese le
cuffiette che spuntavano da sotto la kefiah, le mise nelle orecchie, chiuse gli
occhi. E si isolò dal mondo.
Like the
dolphins, like dolphins can swim
Though nothing,
nothing will keep
us together
We can beat them,
for ever and ever
Sentì qualcosa
tirargli la gamba, aprì gli occhi e puntò il fucile, era pronto a premere il
grilletto, quando mise a fuoco chi aveva davanti.
«L’ho visto… è
nel corridoio di sinistra…»
«Chiara, da dove
cazzo spunti fuori? Avevo bisogno di te!»
I, I can remember
Standing, by the
wall
«Ho trovato
un’entrata secondaria e ti ho perso di vista. Fa’ silenzio ora, non c’è tempo,
lui sta arrivando.» Chiara gli fece cenno col capo in alto a destra.
«È lì» disse.
L’uomo vide un
M16 proprio sopra il vetro di plexiglass.
«Merda…»
«Hai paura?» lo
stuzzicò Chiara.
And the guns shot
above our heads
And we kissed,
as though nothing
could fall
«Quante volte ti
ho detto di non sottovalutare chi incontriamo?»
«Attento! Esci da
qui!» gridò Chiara all'improvviso, indicando il soffitto.
L’uomo non se lo
fece ripetere, si tolse le cuffie tirandole dal cavo, aprì il frigo e schizzò
fuori, nel lato opposto rispetto al pazzo. Il cacciatore si voltò verso di lui,
sparò, ma l’uomo si accucciò contro il frigo e strisciò per alcuni metri, cercando
di guadagnare terreno.
Seguì un rumore
assordante, simile all’esplosione di una bomba. L’uomo si sporse: il punto del
frigo in cui era stato nascosto fino a poco tempo prima non c’era più, al suo
posto, un predatore.
La bestia si alzò
sulle gambe e lanciò un ruggito nella direzione dell’uomo. Dalla bocca
spalancata del mostro si potevano vedere i denti aguzzi, perfetti per dilaniare
la carne.
C’era un qualcosa
nel volto dei predatori che lo terrorizzava: la loro somiglianza con gli umani.
Per quanto fossero diventati così diversi da ciò che erano, il loro sguardo tradiva
la loro antica natura.
“Chiara! Dimmi
che sei riuscita a scappare… cazzo!” strinse i pugni. “Avrei dovuto
aiutarla!”
Il cacciatore
aprì il fuoco verso la bestia, che ruggì furibonda e sparì nei corridoi con un
balzo. L’uomo vide le spine ossee che spuntavano dalla schiena glabra del
mostro e rabbrividì.
«Guarda cosa
cazzo hai fatto!» gridò il pazzo e l’uomo lo sentì correre via.
Controllò il
soffitto e le pareti circostanti, cercando il predatore, ma di lui, a parte i
segni lasciati prima, nessuna traccia.
Sospirò e controllò il frigo distrutto.
«Chiara?»
bisbigliò. Si sentiva il cuore in gola, temeva di trovarla squartata, il suo
corpo sbudellato in una pozza di sangue. Ma invece trovò solo vetri rotti e
pezzi di ferro.
«Chiara?»
sussurrò. Si guardò intorno, cercandola. «Chiara?» disse più forte. Non
ricevette risposta, solo raffiche di fucile in qualche corridoio lontano e il
tamburellio della pioggia contro il tetto.
“Merda, dov’è
che si caccia sempre?” Un po’ più sollevato, si mise il fucile in spalla e
zoppicò verso gli spari.
Sfruttando la
copertura di uno scaffale, si sporse per guardare: il pazzo stava sparando
contro il predatore, senza riuscire a colpirlo. La bestia era veloce, spariva
nel dedalo di corridoi e appariva da uno scaffale, dal soffitto, o alle spalle
del pazzo, che però reagiva sempre prontamente, colpendo la bestia con raffiche
brevi e mirate.
“Deve avere
parecchi proiettili. Se ammazza la bestia io ammazzo lui.”
Seguì lo scontro
attraverso il mirino del fucile. Il pazzo aveva appena schivato una carica del
predatore e stava ricaricando dopo aver colpito la bestia a una gamba.
“Ora!”
Sparò. Aveva avuto l’uomo sotto mira per tutto il tempo, eppure il proiettile
gli passò a pochi centimetri dal naso.
«Merda!» disse a
denti stretti.
L’uomo si voltò
verso di lui.
«Pezzo di merda!
Coglione! Lo hai fatto entrare tu!» sparò nella sua direzione, un proiettile
gli sibilo accanto l’orecchio, lasciando una scia di calore sul suo zigomo.
L’uomo ritornò in copertura.
«Possiamo
collaborare per ucciderlo! Ascolta… c’è mia moglie con me… voglio solo uscirne
vivo…»
«Dovevi pensarci
prima, stronzo! Adesso me l’hai fatto perdere di vista… Giuro che ti apro il
culo!»
Sentì i passi del
pazzo allontanarsi e l’uomo rifiatò. Guardò il soffitto, libero. Si sporse di
nuovo verso il corridoio, anche questo libero. Tremava, sapeva che doveva
immergersi in quel labirinto per ritrovare Chiara.
«Chiara?!» disse,
in un ultimo tentativo. Solo il tamburellio ritmico della pioggia.
«Cazzo!» Serrò la
mascella e fece un primo passo. Sputò un grumo di saliva, catarro e sangue; le
orecchie tese per captare ogni minimo rumore sospetto. Il dito sul grilletto,
pronto a fare fuoco.
Sapeva che il
predatore lo stava braccando, ne avvertiva la presenza, come un’ombra
opprimente. Ogni due passi si controllava alle spalle poi guardava verso
l’alto.
Attraversò quello
che doveva essere il vecchio reparto di ferramenta con appesi ai ganci degli
scaffali chiodi, martelli e cacciaviti.
“Cazzo, avrei
potuto prendere qualcosa se non fossi in questa situazione di merda.”
Un rumore attirò
la sua attenzione, si bloccò e cercò di decifrarlo, era un pianto. Com’era
iniziato, cessò. L’uomo si diresse verso quella direzione, pronto a cogliere
altri rumori sospetti.
E il pianto
ricominciò poco dopo.
«Chiara?»
bisbigliò, senza ricevere risposta. Proseguì per il corridoio fin quando il
pianto non si arrestò ancora. Si trovava a un incrocio di reparti.
“E adesso che
strada prendo?” si chiese mentre controllava che il predatore non gli
potesse piombare dal soffitto.
Dopo qualche
istante di silenzio, lo risentì. Veniva da corridoio davanti a lui. Non era un
pianto, era una risata, si ripeteva sempre uguale a intervalli regolari.
“È una specie
di trappola?”
Camminò piano,
concentrando il proprio peso sulla gamba sana, senza sforzare quella ferita e
controllando sempre alle proprie spalle e il soffitto. Era sudato fradicio,
aveva freddo, tremava, si sentiva la febbre e la testa pesante. Aveva voglia di
dormire, di chiudere gli occhi e mandare tutto a fanculo.
Ma doveva ancora
trovare Chiara.
Arrivò alla fine
del reparto, la risata veniva proprio da dietro l’angolo. Si appiattì contro la
parete vuota, fece un bel respiro e uscì allo scoperto, il fucile pronto a sparare.
Non c’era
nessuno, solo un orso di peluche a terra, sgualcito e consumato, con un occhio
mezzo staccato. Era il pupazzo a emettere quella risata. L’uomo se lo rigirò in
mano e spostò su OFF la levetta dell’accensione.
Sentì un rumore,
alzò lo sguardo e poco più avanti vide una sagoma bassa e sottile arrampicarsi
su uno scaffale. Un bambino.
Lo scaffale
crollò verso l’interno, come se qualcosa l’avesse spinto. Il bambino perse la
presa e cadde a terra, ma fu fortunato: lo scaffale si bloccò contro quello
opposto e non lo schiacciò. Il predatore emerse nel corridoio dal lato, era
stata una sua trappola.
“Porca troia, non li facevo così furbi.”
L’uomo lasciò
l’orso e prese la mira verso la bestia che stava emettendo il suo sibilo di
caccia.
«Scappa!» gridò
una voce.
Il pazzo arrivò
in aiuto del bambino sparando a raffica. I colpi centrarono il predatore alla
spalla, ma questo, anziché rallentarlo, lo fece infuriare. Scoprì i denti
affilati come le zanne di un lupo, ruggendo in faccia al pazzo. La pelle glabra
del volto si contorse in un’espressione animalesca che non aveva più nulla
dell’umanità che un tempo vi albergava.
Il mostro si avventò sull'aggressore, trafiggendolo al petto con gli artigli delle mani.
Il pazzo tossì.
«Ricordati quello che ti ho insegnato» rantolò.
L’uomo provò pena
per lui, sapeva che sarebbe potuto essere al suo posto.
Il predatore
emise un ruggito di vittoria e lo morse al collo, il pazzo puntò il fucile
sotto la mandibola e sparò. Entrambi caddero a terra in un colpo sordo. Il
rumore fu seguito da un altro, l’uomo rimase in tensione, ma non sentì più
nulla di sospetto e tornò a respirare.
“Chiara è in
salvo. Per fortuna è finita.”
Abbassò l’arma e
andò verso il corpo del bambino che sporgeva da sotto lo scaffale, lo toccò con
un piede.
«Sei vivo?»
chiese.
Il bimbo si mosse
e tossì. Allora l’uomo lo afferrò
per la giacca e lo trascinò fuori da quella trappola. Gli diede una spolverata
ai lunghi capelli mentre questi si metteva seduto con le gambe incrociate. L’uomo si
inchinò e lo guardò, indossava un visore molto più grande della sua testa,
stretto con lacci di fortuna che gli arrivavano fin dietro al collo.
«È tutto finito?»
chiese il bimbo.
«Sì» rispose
l’uomo.
«Dov’è il mio papà?»
L’uomo fece una
pausa, pensando a cosa dire.
«Lui è… beh… ha
detto che devi venire con me.»
«Non è vero. Lui
mi ha detto di non fidarmi degli altri. Voglio sentirlo da lui» il bimbo
incrociò le braccia.
“Merda, non ci
so proprio fare con i bambini… meglio cambiare argomento”.
«Hai per caso
visto mia moglie? Dev’essere da questa parti.»
Il bambino non
rispose. «Voglio il mio papà.»
L’uomo si grattò
la nuca dove il visore stringeva con i lacci, pensando a un modo di sbloccare
la situazione.
“Non posso lasciarlo
così.”
«Ti piace la
musica?» gli chiese allora.
«La musica?» il
bambino sembrò più interessato.
L’uomo gli porse
un auricolare, il bimbo sembrò indeciso se accettare o no, prese la cuffietta
nella manina e la osservò.
«Cos’è?» chiese.
«Una cuffia, da
lì esce musica, avvicinala all’orecchio.»
«Mio papà mi
canta sempre una canzone prima di dormire.»
«Non so se è la
stessa, ne ho solo una, purtroppo non è facile trovare un computer di questi
tempi… è la preferita di mia moglie. Ascoltala, non aver paura» l’uomo sorrise
mettendosi l’auricolare, cercando di rassicurare il bambino.
And the shame was
on the other side
Oh we can beat
them, for ever and ever
Then we could be
Heroes,
Just for one day
Questo si mise la
cuffia nell’orecchio e poi fece un’espressione stupita.
«Ti piace?»
«Ma non si sente
niente.»
We can be Heroes,
for ever and ever
What d'you say?
«Come no? La mia
funziona… proviamo a scambiarcele.»
Prese la cuffia
del bimbo e se la mise, dandogli la propria.
«Funziona, io la
sento…»
We can be Heroes
We can be Heroes
We can be Heroes
Just for one day
«Non va!» disse
il bambino, lanciandogli la cuffietta contro.
«Calmati, non
riesco a capire» si mise anche la seconda cuffia.
We're nothing,
and nothing will help us
Maybe we're
lying,
«Funziona!»
disse.
Sentì una mano
sulla propria spalla e si voltò, era Chiara.
«Ti ho cercata
dappertutto!» la abbracciò e la baciò sulle labbra. «Ho avuto paura di
perderti!»
Lei gli accarezzò
il viso. «Stai tranquillo, sono qui ora.»
Then you better
not stay
But we could be
safer,
Just for one day
«Ma con chi
parli?» chiese il bambino.
«Oh… lei è mia
moglie, si chiama Chiara.»
«Dobbiamo andare
via! Non hai sentito?» urlò Chiara.
«Non gridare!
Cosa c’è?»
Chiara indicò il
bambino, che lo fissava tremando, sembrava terrorizzato.
Successe in una
frazione di secondo. Un predatore sfondò lo scaffale laterale, infilzò il
bambino con una mano e lo trascinò indietro con sé senza lasciargli neanche il
tempo di urlare.
«Muoviti!» lo
tirò Chiara «non possiamo farci niente!»
We can be Heroes
«Dove cazzo è
l’uscita?» chiese l’uomo.
«Seguimi!»
rispose Chiara correndo davanti a lui, che riusciva a malapena a camminare.
Lo guidò nel
dedalo di corridoi fin quando l’uomo non vide un fascio di luce.
«È mattina!»
esclamò Chiara, percorsero gli ultimi metri che li separavano dalla salvezza,
ma proprio sulla soglia Chiara si fermò.
«Nasconditi!»
gridò.
L’uomo, preso
alla sprovvista, si nascose dietro la porta sfondata. Fu allora che sentì il
sibilo, seguito dai passi pesanti, del predatore. La creatura gli passò davanti con passo lento, emettendo
il suo verso di caccia. L’uomo si schiacciò più che poté, trattenendo il
respiro.
“Chiara, cazzo!”
Il mostro indugiò
vicino al suo nascondiglio, forse attirato dall’odore del sangue. Poggiò la
mano con gli artigli sulla porta, l’uomo vide le lunghe dita ossute serrarsi
intorno al lato.
“Merda, se la
sposta sono fottuto.”
Un rumore, forse
causato dall’altro predatore, attirò l’attenzione del mostro, che lasciò la
porta e scomparve tra gli scaffali.
We can be Heroes
«Via libera!»
disse Chiara sporgendosi dove fino a poco prima c’erano stati gli artigli del
predatore.
«Chiara! Come hai
fatto a nasconderti?»
«Vieni, non c’è
tempo!» lei gli porse la mano.
L’uomo si rialzò
a fatica, stremato da quella lunga notte. Si tirò su il cappuccio del parka e
seguì Chiara sotto la pioggia, mentre il cielo iniziava a rischiararsi.
We can be Heroes
«Che bella
giornata!» disse lei, allargando le braccia al cielo.
L’uomo sorrise,
ce l’avevano fatta. «Ti amo. Sei la mia unica ragione per andare avanti.»
«Anche io ti amo»
rispose lei, gli si avvicinò, guardandolo con i suoi occhi azzurri e lo baciò.
L’uomo si lasciò trasportare, come se tutto quello che aveva passato quella
notte non fosse mai accaduto, come se fosse solo un sogno lontano. Il dolore,
sparito, la sofferenza, spazzata via.
Esistevano solo
lei e la sua lingua calda e umida.
And we kissed,
as though nothing
could fall
Si staccarono,
Chiara sorrise.
«Ora andiamo,
lasciamoci alle spalle questa città, voglio andare verso quel monte» l’uomo
indicò una montagna che svettava a ovest «sarà più facile trovare selvaggina» le
diede ancora un bacio veloce e si incamminarono mano nella mano sotto la
pioggia.
“E ci saranno
anche meno predatori.”
We can be Heroes
Guardò la donna
che amava sorridere sotto il cappuccio, sembrava così felice, come se gli
orrori che vivevano tutti i giorni non la toccassero nemmeno.
L’uomo deglutì
una pastiglia di antibiotico e sorrise, il dolore alla gamba era diminuito.
“Appena trovo
un posto sicuro devo cambiare la medicazione.”
Just for one day
“Qualsiasi
cosa dovremmo affrontare, lo faremo insieme.”
La risata
cristallina e argentea di una donna sovrastò la canzone. L’uomo guardò Chiara.
«Cosa c’è che ti
fa ridere?» le chiese.
Lei non rispose,
continuò a camminare senza degnarlo di uno sguardo.
Stava per
togliersi le cuffie…
Crrrrrrrrrr
Un rumore simile
ad un’interferenza radio lo bloccò.
La risata della
donna tornò a rimbombare nella sua testa.
La malattia, la
follia, e la morte, erano gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla.
*Canzoni inserite: "Heroes" di David Bowie e "Sono un Fantasma" di MadMan.
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RispondiEliminaSiamo di fronte a una giovane promessa della narrativa fantastica itagliana, io convengo, piuttosto anzichenò.
RispondiEliminaahahahhahah grande garga!
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